La strage delle innocenti

La strage delle innocenti

 

Cristina Bigoni – 6 agosto 2006

È stata uccisa con otto coltellate nella sua abitazione nel Ferrarese. A essere accusato dell’omicidio dell’operaia di 42 anni, è il marito: nel corso di una lite I’uomo ha colpito la moglie, prima in cucina, poi in bagno, dove la donna aveva cercato di rinchiudersi.

Debora Rizzato – 22 novembre 2005

La venticinquenne è stata colpita a morte, con un pugnale, da un uomo che undici anni prima l’aveva violentata. L’omicidio nel parcheggio della fabbrica dove la ragazza lavorava, aTrivere, nel Biellese.

Maria Messina – 21 giugno 2006

Uccisa a colpi di sega dal marito da tempo sofferente di disturbi mentali; la sessantenne ha tentato un’inutile e disperata fuga prima di essere raggiunta. L’uxoricida era stato ricoverato in un reparto di psichiatria.

Hina Saleem – 12 agosto 2006

La ventunenne pachistana viene sgozzata in famiglia e seppellita nel giardino della casa paterna a Sarezzo, vicino a Brescia, perchè si era ribellata ai ferrei costumi della tradizione islamica del suo Paese: vestiva all’occidentale, si era trovata un lavoro in città e viveva con un fidanzato bresciano. La Rai e il gruppo Adnkronos pensano già a una fiction sulla tragedia.

Manuela Schellino – 17 maggio 2006

L’educatrice di Dogliani, nel Cuneese, probabilmente sapeva che iI paziente psichiatrico aveva già ucciso, dando fuoco a un coetaneo mentre dormiva, ma non ne aveva paura. Eppure, durante una passeggiata con la ventisettenne, forse l’omicida ha fatto un’avance sessuale e, respinto, ha colpito più volte la donna alla testa. Poi, sconvolto, è corso dal carabinieri.

Patrizia Silvestri – 3 maggio 2006

«Ti taglierò la testa». Questa una delle ultime minacce che l’ex marito della donna, 49 anni, trovata a Roma in strada, aveva urlato all’ex moglie. La vittima in precedenza aveva sporto nei confronti dell’uomo, autotrasportatore, per violenze e minacce.

Jennifer Zacconi – 29 aprile 2006

Sepolti vivi, lei e il bambino che portava in grembo e che doveva nascere dopo pochi giorni. E’ morta cosi la ventenne, il cui cadavere è stato trovato in un campo di Maerne, nel Veneziano: dell’omicidio è accusato il presunto padre del bimbo, che avrebbe commesso il delitto per nascondere alla moglie la sua relazione con la ragazza.

Silvia Mantovani 12 settembre 2006

«Gliel’avevano giurata» ha detto subito dopo l’omicidio un’amica della vittima ventottenne. La ragazza – studentessa in infermeria di Martorano, nel Parmense – è stata uccisa dall’ex fidanzato a coltellate nell’auto mentre faceva ritorno a casa. Attraverso iI finestrino abbassato il ragazzo riesce a colpirla con otto fendenti, uno mortale al cuore.

 

Sono vittime annunciate e indifese

Dall’inizio dell’anno sono quasi cento. Mogli o ex mogli, fidanzate, compagne, madri, a volte sorelle o fragili nonne, a volte figlie. Quasi cento donne italiane massacrate nel luogo in cui dovremmo sentirci più al sicuro: la famiglia. Cancellate da colui che più di ogni altro dovrebbe tenere alla loro vita; il padre dei loro figli, il compagno o quello che è stato tale fino a pochi mesi prima, il genitore, il giovane innamorato. Una strage Ininterrotta. Molte le donne assassinate sotto gli occhi dei figli, altre vittime, questi ultimi, che per tutta la vita porteranno la croce di una così grande tragedia.

La maggior parte dei casi rispetta un copione scadente: lui è un violento, beve, picchia, o è palesemente uno squilibrato; lei trova la forza di sfuggirgli, di mettere in salvo se stessa e i bambini con una separazione, un divorzio, ma l’uomo non ci sta, preferisce vederla morta piuttosto che libera.

Ed è spesso così anche quando il menage precedente era apparentemente sereno. II marito creduto (dagli altri) tranquillo, se abbandonato può trasformarsi in una belva.

Oppure, a farlo diventardare un mostro assassino sano i litigi che insorgono dopo la separazione, la questione dei figli o degli alimenti. O la gelosia all’idea che lei intenda, come si dice, rifarsi una vita. Eh no, lui gliela toglie quella vita promessa. Definitivamente. Con una pistola o un fucile, ma altrettanto spesso con un coltello, magari quello usato tante volte per l’arrosto della domenica, quando tutti quanti sedevano a tavola fingendosi una famiglia felice.

Donne strangolate, soffocate col cuscino o annegate. E c’è anche chi non ha esitato a usare una motosega, una mazza da muratore, il mattare!lo, il cavo dell’aspirapolvere, per liberarsi di una amante seccatrice, di una madre che non scuce i soldi, di una moglie che con le sue urla, o anche solo con la sua faccia triste, impedisce una nuova relazione. Poi ci sono le donne, tante, massacrate dai compagni a botte e calci. Gli ultimi, probabilmente, di una serie troppo lunga per essere accettabile.

Succede ovunque, forse con una leggera preminenza a Nord, che gli uomini pensino alla donna come a una ‘cosa’ loro, da distruggere o da buttare se non serve più. Eppure la maggior parte dei delitti di cui parliamo si sarebbe potuto impedire. Chi uccide, sia pure colto da raptus, ha l’assassino dentro di sé da tanto tempo, forse da sempre.

Ma quando una donna denuncia un persecutore, la legge permette all’autorità solo un’inutile ramanzina, per il resto il molestatore è libero di appostarsi, violentare, impugnare un’arma e colpire quando vuole. Può essere fermato solo dopo che ha distrutto un’esistenza. E’ il codice penale.

Se il potenziale omicida è pazzo, qualunque cosa voglia dire, ancora peggio. Non lo si può rinchiudere, non lo si può curare in nessun modo, non gli si possono imporre medicinali, non Io si può allontanare dal contesto dove vive, non gli si può impedire che aggredisca, torturi, renda la vita degli altri un incubo o gliela tolga del tutto. E’ la legge 180.

Se è “solo” un violento non vi è luogo dove la compagna e i figli possono trovare rifugio. Non c’è posto dove possano riparare certi che la società saprà difenderli. Non c’è istituzione o amministrazione o governo che voglia seriamente gettare uno sguardo dentro questo sanguinoso obitorio della famiglia e tentare di provvedere. Tanto capita sempre agli altri.

 

Se le donne italiane non riescono a schierarsi con la massa islamica

Una mamma porta a scuola tutti i giorni sua figlia. Niente di strano, se non che la donna è musulmana e che si presenta alla porta della scuola elementare, in pieno centro di Como, indossando il burqa che cela interamente il viso. Ed è stata subito sollevazione delle altre madri, preoccupate – sostengono – che i loro figli possano essere turbati.

Alcuni colleghi chiedono perché noi «donne emancipate italiane» ci disinteressiamo della condizione femminle nel mondo islamico abissalmente lontana dal nostro modo di concepire i diritti umani. La sorellanza, la solidarietà – dicono – dove sono finite? Potrei rispondere: No, non è vero… e citare qualche eccezione, ma in realtà i colleghi hanno sostanzialmente ragione. Le donne occidentali e ancora di più le italiane, tacciono. Perché? Le ragioni sono molte ma possono riassumersi in poche parole: non sappiamo da che parte affrontare la questione. Anzi. Non sappiamo nemmeno se sia corretto affrontarla. Faccio alcuni esempi: al tempo della guerra in Afganistan, gli strateghi della Casa Bianca hanno fatto leva proprio sulle donne americane più colte e liberali denunciando più di ogni altra cosa l’oppressione talebana sulla popolazione femminile, l’obbligo del burqa, le sevizie. Le femministe americane si sono molto indignate, ma hanno ben presto scoperto di estere state strumentalizzate dai fautori delta guerra: si è capito infatti che in Afganutan la maggior parte delle donne vuole portare il burqa, sarebbe una tortura farglielo levare ‘per legge ‘, almeno quanto lo era obbligarle a indossarlo.

Ce lo spiega Amina Afzali, la leader del movimento delle donne afgane:«E’ una questione molto deIicata, una tradizione radicata, deve essere affrontata con rispetto». Come dire: perché non vi fate i fatti vostri? Ed è un atteggiamento che hanno molte femministe e intellettuali del mondo islamico: ehi, voi del West, non venite a farci la morale, non cercate di indottrinarci, i vostri valori non sono universali da importazione, sapremo emanciparci da sole e alla nostra maniera. Ovvero nel rispetto del Corano e di quelli che le donne credono essere i principi originali dell’islamismo. Quanto a montare in cattedra, la scrittrice mamarocchina Mernissi Fatima aggiunge con il consueto umorismo:«Su! Anche voi non siete mica messe così bene! Per esempio io inorridisco al pensiero che siate tutte schiave della taglia 42 e che anche donne colte, intelligenti, realizzate, siano infelici perchè non ci entrano dentro! Che inaccettabile oppressione, che barbarie!». Certo, il nostro silenzio diventa imbarazzzante se non indegno di fronte a fatti gravi e commessi in “casa nostra” come quello accaduto a Brescia: Hina uccisa dal padre e da altri membri della famiglia e seppellita in giardino perché «non era una buona musulmana». E tuttavia, non ci aiuta a trovare un modo per rivolgersi a queste ‘sorelle’. Mi viene in mente un ultimo motivo per spiegare, forse, il silenzio delle donne del nostro paese: e se la situazione di insicurezza che si è creata in Italia è causa del crescere dei reati contro la persona – anche e soprattutto italiana – ci avesse rese tutte più diffidenti e un pò meno solidali?

 

di Rossella Martina

 

Il piano del ministro Pollastrini

«Giro di vite penale e una nuova cultura»

«Pene più aspre per chi esercita violenza sulle donne, con reclusione fino a dieci anni e negazione delle attenuanti per i reati di violenza sessuale. Carcere fino a quattro anni in caso di minacce persecutorie. E in prospettiva, un salto culturale: trasformare i reati familiari in reati contro i diritti umani. E Barbara Pollastrini, ministro per le Pari Opportunità, assicura che il giro di vite annunciato non finisce qui.

II futuro è all’insegna di un cambiamento a tutto campo, da realizzare con un Piano nazionale, destinato alle italiane come alle immigrate, che tenga conto di tutte le molteplici forme di un fenomeno che rappresenta, oltre che un allarme sociale, una preoccupante emergenza culturale».

Prevenzione e repressione sono le linee strategiche su cui il ministro si è ritrovato, ieri, assieme ai rappresentanti di 40 centri antiviolenza di tutta Italia, da anni in prima linea per sostenere le donne in una battaglia che troppo spesso perdono, complice anche una giustizia «che intendiamo modificare in molti punti».

Ministro, quali le priorità per cambiare il futuro delle donne?

«Il primo atto è l’istituzione dell’Osservatorio contro la violenza, per il quale abbiamo già chiesto fondi nella prossima finanziaria. Dovrà occuparsi di tutte le forme del problema: dai maltrattamenti allo sfruttamento, dagli abusi sessuali allo stupro etnico, dalla tratta alla discriminazione dei gay. Nei casi più gravi ci costituiremo parte civile. L’Osservatorio è parte del Piano, che richiama in alcuni aspetti la legge spagnola varata da Zapatero, benché applicata alla realtà italiana. Tra le sue priorità: destinare risorse ad hoc, formare giudici e avvocati di genere, porre particolare attenzione alla violenza domestica. E poi c’è l’aspetto che definirei culturale».

Un progetto di formazione?

«Un ampio programma per porre le basi del gioco di squadra, indispensabile per combattere un problema che ci riguarda tutti. Coinvolgere la scuola e l’università – oltre che I’Anci e le Regioni in un tavolo di collaborazione – in direzione di campagne culturali per i diritti delle donne. Formare, inoltre, le stesse donne, insegnando loro a riconoscere le prime avvisaglie di maltrattamenti futuri. Ognuno dovrebbe concorrere all’educazione civica sul rispetto delle donne. E il primo passo è annullare la mentalità della negazione, dell’indifferenza e della giustificazione che da troppo tempo la nostra cultura racchiude e difende. In vista del 2007, anno europeo delle pari opportunità, inoltre, il ministero dedicherà una sezione delle proprie iniziative proprio all’emergenza violenza».

La recente tragedia di Parma ha posto in rilievo che le minacce non vanno sottovalutate.

«Dopo il caso della ragazza di Parma, abbiamo aggiunto una nuova proposta. Chi minaccia, perseguita, arreca danno grave alla libertà individuale o sessuale, o turba la vita di una persona rischia da uno a quattro anni di carcere».

Lei ha incontrato recentemente il capo dello polizia. È nato un accordo su questi temi?

«De Gennaro sì è mostrato molto disponibile a sostenere le attività dell’Osservatorio antiviolenza. Ci sarà una collaborazione strettissima. Noi, dal canto nostro, intendiamo dare aiuto e sostegno a tutti i centri che si occupano delle donne maltrattate e sfruttate. Questi gruppi, negli ultimi 20 anni hanno svolto un’attività preziosa, che merita finalmente un riconoscimento».

 

di Claudia Marin

 

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